Daniela Padoan: «“La Resistenza è una sicurezza morale, non è una poetica”, disse Salvatore Quasimodo nel suo discorso di accettazione del Nobel per la letteratura, nel 1959. “Gli europei conoscono la misura di questa Resistenza; è davvero la sezione aurea della coscienza moderna. Anche se urla, il nemico della Resistenza è oggi un’ombra con una debole legge: la sua voce è più impersonale dei suoi propositi”. Oggi le cose appaiono ben diverse, il nemico della Resistenza è sempre più saldo, la sua voce più riconoscibile. Nel 25 aprile in cui, mentre commemoriamo l’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, la Costituzione della Repubblica italiana è sempre più sotto attacco, sarebbe essenziale tornare alla costruzione europea come “sezione aurea” di libertà e democrazia, da proteggere e risignificare di fronte al progressivo sgretolamento delle sue ragioni costitutive».
Gabriele Pedullà: «Il 25 aprile è una festa che si colora di volta in volta di significati diversi. Accanto al nucleo stabile che si ripete ogni anno, costituito dalla celebrazione della riconquista della libertà dopo l’oppressione nazifascista e dalla fondazione dell’Italia repubblicana, si collocano questioni che in determinati periodi assumono particolare rilievo. Tre anni di guerra in Ucraina, l’allarmante risultato elettorale conseguito dai partiti di estrema destra in Francia e in Germania, tenuti fuori dal governo ma sempre più incalzanti, e l’addensarsi di forme autoritarie che procedono allo svuotamento delle democrazie rendono quanto mai necessario abbracciare l’orizzonte della resistenza europea. Tanto più se pensiamo che in Europa, dove abbiamo paesi in cui il nesso autoritarismo-fascismo è storicamente fondato, il risveglio delle destre estreme è potenziato dall’attuale affermazione di politiche illiberali negli Stati Uniti, un paese con una tradizione di autoritarismo che oggi sta deflagrando, pur in assenza di una tradizione fascista storica alla quale richiamarsi esplicitamente».
DP: «Per i confinati di Ventotene, l’Europa unita avrebbe dovuto realizzarsi nella condivisione dei principi democratici e antifascisti che furono poi iscritti nella Costituzione italiana come ripudio della guerra e coesione contro i nazionalismi; la prospettiva attuale è invece il riarmo degli Stati membri, con il rischio di una definitiva frantumazione del progetto europeo sugli scogli di una guerra in Europa e di una progressiva erosione dell’impalcatura dei diritti umani eretta nel dopoguerra, ben visibile nelle politiche di contrasto della migrazione e nel restringimento delle libertà di espressione e manifestazione».
GP: «La Resistenza europea ha avuto la particolarità di non produrre uno scontro tra paesi impegnati a lottare per la supremazia nazionale: da Parigi a Mosca, da Copenhagen ad Atene, gli europei furono tutti dalla stessa parte, perché dall’altra parte c’erano la Germania nazista e l’Italia fascista. Gli Stati erano divisi in base a due progetti opposti di società. Gli antifascisti diedero nascita ovunque a movimenti che, in modi molto diversi, si opposero al nazionalsocialismo: la Resistenza italiana, tedesca, francese, polacca, belga, olandese, danese, cecoslovacca, jugoslava, nell’Est Europa e nei Balcani. Quello straordinario momento di unità del continente è tra le prime cose che l’Unione europea dovrebbe celebrare, non soltanto per i valori che furono espressi ma perché venne a crearsi una saldatura inedita nella storia europea, capace di andare al di là delle pulsioni nazionali. Anziché costituire un volano dell’integrazione europea, il riarmo su base nazionale porterà a una moltiplicazione delle spese militari per i ventisei paesi dell’Unione, oltre che al concreto rischio di una deriva bellica».
DP: «Anche se l’Unione europea pensata dai costituenti come federazione di Stati e di popoli ha smesso da tempo di essere il luogo degli ideali di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann, era difficile immaginare una china così veloce verso una volontà di riarmo ammantata di retorica bellica».
GP: «Ho l’impressione che si stia correndo verso una grande sconfitta che lega politica interna e politica estera, perché il riarmo europeo sembra essere anzitutto una risposta al problema dell’economia globale davanti alle difficoltà strutturali dell’industria tedesca. Una situazione pericolosa, molto diversa dalla resistenza militante che viene dalla tradizione delle lotte comuni di questo continente».
DP: «Gli uomini e le donne che salvarono l’onore del nostro paese scegliendo di entrare nella Resistenza sono sempre meno celebrati dalle istituzioni. Pochi giorni fa, nel genovese, un’amministrazione di centrodestra ha fatto rimuovere con una ruspa il cippo funebre di un partigiano, vicecomandante di una divisione garibaldina. È un’immagine che riassume la progressiva cancellazione della memoria e il revisionismo all’opera, ad esempio, nella titolazione di strade e piazze a figure indissolubilmente legate alla Repubblica Sociale Italiana, come Giorgio Almirante.
GP: «Per questo dovremmo mantenere una chiara memoria delle responsabilità storiche dei regimi collaborazionisti che – come quello italiano che si installò a Salò dopo l’8 settembre 1943 e quello francese di Vichy – attuarono rastrellamenti e deportazioni di partigiani ed ebrei e si macchiarono di massacri di civili. Allo stesso modo dovremmo mantenere memoria del modo in cui i partigiani, pur nelle loro diversità, incarnarono la lotta contro il fascismo. Le democrazie hanno ancora bisogno della loro ideale protezione, e per tutti noi è essenziale riconnetterci a uno dei tratti fondamentali della Resistenza, che è il guardare al domani. L’esperienza partigiana ci ha mostrato che quei giovani sapevano, nel pieno della battaglia, che il futuro poteva essere immaginato nelle forme più diverse. La consapevolezza che il futuro è aperto è stato uno dei grandi lasciti della Resistenza, ed è ciò che dobbiamo recuperare: immaginare in maniera non reattiva, davanti alle scelte di esecutivi autoritari, da dove si può rilanciare un discorso politico non ridotto alla gestione dell’esistente. “Speranza cercasi”, si potrebbe dire, rubando un titolo allo scrittore greco Antonis Samarakis.
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