Il 25 aprile e il lessico di Papa Francesco

24 Aprile 2025

Gianfranco Pagliarulo Presidente nazionale ANPI

Festa Nazionale ANPI, Bologna 2024

Quella della Liberazione è una festa. La festa della fine della guerra che aveva portato morte e distruzione.
Viviamo nella “terza guerra mondiale a pezzi” aveva detto Bergoglio nel 2014. La sua condanna a ogni conflitto bellico è stata incessante e quotidiana. Fino al giorno prima della sua morte: «Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo!» ha detto nel messaggio Urbi et Orbi.
A maggior ragione, quindi, questo 25 aprile ci sollecita la memoria partigiana.

Un 25 aprile con le guerre, il riarmo, la crisi delle democrazie, la Germania in recessione e la produzione industriale che in Italia cala da due anni. E ora, anche la scomparsa di un Papa che nelle encicliche, nelle parole, nelle scelte, ha proposto un ritorno ai Vangeli e all’esempio di Cristo, nella nuda concretezza della vicinanza agli ultimi.

Fratelli, cura, dono, bene comune, ecologia della vita quotidiana. E specialmente pace. Sono il lessico di Bergoglio in cui in tanti, laici e cattolici, ci siamo riconosciuti (e spesso conosciuti) nel tempo del suo pontificato e in particolare negli ultimi anni, quando quella “terza guerra mondiale a pezzi” da lui tante volte paventata e denunciata è diventata sempre più invasiva e sanguinosa.
Nel suo ultimo messaggio ai fedeli, proprio il giorno di Pasqua, ha affermato: “Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo!”, e ancora: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo!”.

Eppure, un 25 aprile di festa. Festa – lo scrivo a proposito dell’invito, francamente superfluo, alla sobrietà avanzato da un ministro – che non è né una sagra paesana, né un giro di valzer. È una festa democratica e repubblicana perché esattamente ottant’anni fa fu sconfitta la dittatura fascista e l’Italia fu libera; fu cacciato l’invasore nazista, e l’Italia fu liberata. Ma anche perché quel 25 aprile 1945 si festeggiava la fine della guerra, col suo carico di morti, distruzioni, violenze, paura. Si festeggiava l’avvento della democrazia e il ritorno della pace. Tre anni dopo nella Costituzione antifascista si sanciva che il fondamento della repubblica democratica è il lavoro e che l’Italia ripudia la guerra.

Ecco la festa. Festeggiamo la fine del fascismo, del nazismo e della guerra, e non vogliamo vedere mai più né il fascismo, né il nazismo, né la guerra. È la festa della democrazia, della libertà e dell’eguaglianza. E continueremo a lottare per la democrazia, la libertà e l’eguaglianza come facemmo, per esempio, nel 1960 contro il governo Tambroni.

Viviamo un tempo cieco e sordo. Ne siamo pienamente consapevoli.

A maggior ragione questo 25 aprile ci sollecita la memoria partigiana, perché – a ben vedere – la spina dorsale della Resistenza fu formata da giovani, spesso da ragazzi, qualche volta da ragazzini. Fra i tantissimi, penso a Luciano Melis, 14 anni e mezzo, che sciopera alla Scuola Allievi dell’Ansaldo di Genova l’8 gennaio 1944 e successivamente, partigiano, muore in combattimento. Poi penso al partigiano romano Ugo Forno, 12 anni, caduto a Roma durante un’azione armata; e poi ancora ricordo Franco Cesana, 13 anni; muore in combattimento nel 1944. Era ebreo, e per questo, per le leggi razziali, era stato espulso a 7 anni da scuola a Bologna. E ancora, gli scugnizzi delle quattro giornate di Napoli. Ecco, il messaggio di quei giovani – i tanti renitenti alla leva di Salò che vanno in montagna a combattere con i partigiani – e di quei ragazzi e ragazzini mi pare molto semplice, al di là di ogni orpello retorico: volevano vivere in pace e in libertà in un’Italia e in un mondo più giusto.
Quel messaggio è più che mai attuale, in un mondo in cui la passione fredda dell’algoritmo, del consumatore, dell’individuo sembra aver sostituito il valore e la dignità della persona umana, e in cui le tecnocrazie oligarchiche mettono in discussione i fondamenti della democrazia e della giustizia sociale.

Questo 25 aprile, l’ottantesimo, va consegnato nelle mani nelle nuove generazioni, affinché impugnino le bandiere dei ragazzi del ’43 per contrastare la deriva nichilista e autoritaria che ci minaccia. Orwell nel suo romanzo ci ha dipinto un mondo distopico dove il controllo sociale si manifesta nei paradossi manipolatori dei suoi slogan: “la guerra è pace”, “la libertà è schiavitù”, “l’ignoranza è forza”. Sembra oggi. Ogni epoca ha i suoi fascismi. Diamoci da fare.

Gianfranco Pagliarulo è un politico e giornalista italiano, dal 2020 presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI).

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.