Questo articolo di Alessandro Colombo per Libertà e Giustizia è un assaggio dell’ampia e articolata analisi che sviluppa nel libro “Il suicidio della pace“, edito da Raffaello Cortina nella collana Saggi, pubblicato a marzo 2025.
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La guerra in Ucraina e il massacro di Gaza hanno strappato anche l’ultimo velo alla fine dell’ordine internazionale liberale. Una fine che rimette in discussione la gerarchia del potere e del prestigio nel sistema internazionale, per effetto del riflusso della volontà egemonica degli Stati Uniti, del declino di Europa e Giappone e, in compenso, della crescita di diversi potenziali sfidanti tra i quali, al primo posto, la Cina. Indebolisce quello che, negli anni Novanta, aveva potuto essere celebrato come il principale vanto dell’Ordine Mondiale emergente, il tessuto istituzionale e multilaterale della convivenza internazionale ereditato e aggiornato dal Great Design rooseveltiano di sessant’anni prima. Sottopone a contestazione persino i suoi princìpi basilari di legittimità, per effetto del crescente malessere delle democrazie liberali ma, più in profondità, quale esito di più di un secolo di “rivolta contro l’Occidente”. Scuote tutto l’insieme dei princìpi, delle norme e delle regole della convivenza internazionale, a cominciare da quelli sulla legittimità e i limiti dell’uso della forza che abbiamo visto massacrare in senso proprio negli ultimi due anni. Ma soprattutto fa riemergere, per la prima volta dopo quarant’anni anni, persino l’eventualità di una guerra aperta tra grandi potenze.
E tuttavia lo smottamento dell’ordine internazionale non può essere compreso pienamente se non sullo sfondo di due vicende ancora più profonde. La trasformazione dei rapporti tra Occidente e Mondo, prima di tutto: una trasformazione apparentemente irresistibile che, dopo avere già attraversato tutto il Ventesimo secolo, sembra destinata a imporsi come la vicenda fondamentale del Ventunesimo. E ancora più a fondo la lenta e, anche questa, apparentemente inarrestabile erosione dell’ordinamento politico-giuridico moderno: un sommovimento che può forse spiegare la crisi di efficienza e legittimità che sembra accomunare tutti gli Stati, di vecchia o nuova formazione, forti e deboli, democratici e autoritari. Ma, intanto, basta già a svuotare tutte le categorie politico-giuridiche e gli standard di legittimità che nello Stato avevano sempre avuto il proprio presupposto – a cominciare da quelle cruciali sull’uso della violenza.
Sfide di questa portata storica e culturale richiederebbero élite politiche e intellettuali all’altezza dei tempi, cioè almeno capaci di offrire qualcosa di meglio delle interpretazioni di comodo che proliferano nel dibattito pubblico: che si tratti di personalizzare intere vicende storiche nelle presunte patologie politiche, culturali o psicologiche di singoli individui (Vladimir Putin, Benjamin Netanyahu, Donald Trump); di banalizzare centocinquant’anni di “rivolta contro l’Occidente” nella desolante contrapposizione tra democrazie e autocrazie; o, peggio ancora, di attribuire la crisi dell’ordine internazionale e degli stessi ordini interni dei paesi liberali a qualche presunta macchinazione esterna (le intromissioni russe o cinesi, le fake news, gli immancabili “nemici interni”) – che è, tra parentesi, la teoria cospirativa di maggiore successo fra tutte quelle disponibili sul mercato.
Se si vuole fare finalmente i conti con il disordine che ci aspetta, è necessario come prima cosa liberarsi di questa propensione all’auto-indulgenza. Riconoscendo, come prima cosa, che l’involuzione e poi la crisi dell’ordine internazionale liberale erano già cominciate almeno dalla seconda metà del primo decennio del XXI secolo, quando ancora la Cina e la Russia erano lontanissimi dall’essere competitori significativi. E che la svolta era avvenuta non per effetto di qualche attacco o campagna di delegittimazione dall’esterno, ma in seguito a due fallimenti maturati pienamente dal proprio interno: la guerra contro l’Iraq nel 2003 e, meno di cinque anni più tardi, la crisi economico-finanziaria del 2007-08.
Perché alla fine è questo il vero rompicapo politico e teorico dell’ultimo trentennio: come sia stato possibile che un ordine internazionale edificato, negli anni Novanta del XX secolo, su una superiorità politica, economica e militare senza precedenti nella storia degli ultimi secoli, abbia impiegato solo dieci anni per precipitare in una crisi irreversibile.
