La manifestazione del 15 marzo e la parola “divisivo” nella nuova neolingua orwelliana 

14 Marzo 2025

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Foto di Paolo Gramigni, progetto fotografico GMO Free

L’Ue contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani: lo dicono i trattati costitutivi dell’Europa, spirito dei padri fondatori dell’Unione.

Altro che silenzio. Se ci vai, chiedi ascolto per il pensiero dei giusti. 

Una volta mi chiesero cosa pensavo della parola “divisivo”. Prima ancora di pensarci, mi tornarono alla mente le parole di Winston, l’eroe della più famosa distopia del Novecento, 1984 di George Orwell

«Come faccio? – piagnucolò. – Come faccio a ignorare ciò che ho davanti agli occhi? Due più due fa quattro».
«A volte, Winston. Altre volte fa cinque. A volte tre. Altre volte ancora, è possibile che esistano più risposte insieme. Devi sforzarti. Non è facile raggiungere la sanità mentale».

Con questo esempio in mente, fu facile rispondere: “divisivo” è la parola centrale della nostra neolingua, quella dell’epoca in cui non esistono né totalitari ministeri della verità, né veri dibattiti di idee, perché il linguaggio dei grandi media è ridotto a una ganga politichese dove non sai se prevalga la retorica più vacua («È l’ora del pericolo! Quale? Ve lo dico al prossimo proclama»), la denegazione più spudorata («Il negoziato in corso a Gedda è un primo passo verso la soluzione di pace duratura per la quale noi europei abbiamo tutti lavorato») o l’abitudine professionale avvilente, sia dei politici sia dei loro portavoce mediatici, a confondere le cose dette con chi le dice, conta solo che sia amico o nemico. 

Ma chi lo avrebbe immaginato che questa parola di sostanza oscena, “divisivo”, diventasse addirittura il cane da guardia del silenzio più felpato e lunare che dicono “si porti” il 15 marzo in piazza, a Roma, dove se i vari leader delle associazioni partecipanti parlassero ne uscirebbe o una cacofonia di slogan contrapposti o, peggio ancora, una melassa di ossimori castrati, tipo «Viva l’Europa che corre alle armi per difendere la pace», dove gli uni taceranno un pezzo e gli altri l’altro. Insomma viva l’Europa. Viva la vita, viva la primavera. 

Ebbene, non ce n’è bisogno. Resta oscuro perché chi l’ha proposta e chi l’ha sostenuta, questa manifestazione, si sia dimenticato di chiarire per cosa, per quale Europa si doveva manifestare, e ancora più oscuro perché chi vede il ReArm Project così com’è, questa corsa sparsa e folle all’incentivazione delle industrie belliche nazionali e relativi riarmi, sostenga che certo è un male, ma necessario (perché?), o si proclami federalista mentre sostiene questo progetto (come se la Difesa Comune non fosse l’esatto contrario, cioè una cessione di sovranità a un governo federale, per esprimere una politica estera di pace e cooperazione). Ma se ci si va, e con in mente il mandato dei trattati costitutivi dell’Ue (Tue 3/5: L’Ue «contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani… e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite»), allora bisogna dirlo! Lo può dire ciascuno, chiedendo l’ascolto degli altri, e non c’è alcun bisogno di palchetti preparati dagli organizzatori. Volete dei punti precisi da enunciare e delle richieste da avanzare ai leader globali, europei e italiani? 

Ci sono almeno due testi, scritti da due fra i nostri più illuminati maestri, a diverso titolo, di ragione pratica e ideali di giustizia, che potrebbero essere stati pensati per l’occasione, tanto sono limpidi e articolati. Luigi Ferrajoli, autore di Una Costituzione per la Terra, con la sua bozza per la riforma dell’Onu che esalta le linee di convergenza fra federalismo europeo e costruzione di poteri pubblici di garanzia della pace e dei diritti umani, propone  qui (https://www.costituenteterra.it/per-uniniziativa-di-pace-delleuropa/) che l’Ue, nel quadro di un’iniziativa di pace, rilanci il trattato contro le armi nucleari sottoscritto nel 2017 da 122 stati e lo integri con la messa al bando di tutte le armi di offesa, e non solo di quelle nucleari. E Raniero La Valle (https://saveriani.it/missioneoggi/attualita/item/che-fare-salvare-leuropa-riparare-il-mondo) chiede che la questione “che fare” sia posta al centro di un’iniziativa della quale proprio l’Italia potrebbe farsi promotrice, a norma dello Statuto dell’ONU, con una serie di punti precisi: dall’immediato dialogo da aprire con la Russia e l’Ucraina, per un assetto di pace definitiva in Europa che comprenda garanzie di reciproca sicurezza tra tutti i Paesi, nello spirito del vecchio Atto finale di Helsinki; al superamento  delle presenti ostilità e della contrapposizione tra Est ed Ovest, nell’orizzonte tutto da preparare di una futura inclusione della Federazione Russa nell’Unione europea; al disarmo nucleare, alla promozione di una soluzione innovativa della “questione palestinese” che assicuri ai palestinesi un futuro aprendo una fase di transizione a uno Stato plurietnico multireligioso e democratico, accogliente per Ebrei e Palestinesi, che possa evolvere fino a diventare sede di due popoli tra loro riconciliati; fino alle scelte non più rinviabili contro la violazione della libertà di migrazione e asilo sancita anche dall’art. 11 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, e alle scelte per arrestare il degrado ecologico.  

Sarebbe bello se ci fossero, in piazza, ragazzi e ragazze pronti a chiedere ascolto, e a leggere, punto dopo punto, le chiare e distinte proposte che testi come questi contengono. Altro che silenzio: per unire le menti e liberarle dalla confusione «si addice alla parola la temperatura del fuoco» (copyright Mario Luzi). Un pensiero «prepolitico»? Non lo so. Certo un pensiero razionale e morale, ideale e appassionato, limpido e universale come i lumi e le luci di cui l’Europa è l’erede.

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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