Lottiamo insieme per le nostre libertà

04 Gennaio 2021

Sandra Bonsanti Presidente emerita Libertà e Giustizia

Rivendichiamo il nostro essere antifascisti anche per onorare la memoria di tanti partigiani che non ci sono più Il virus non ci ha resi tutti migliori, ora tocca a noi combattere

Il diritto di essere antifascista. In questo inquietante inizio d’anno ci piacerebbe sentire parole e pensieri non banali e li aspettiamo con ansia e ne avremmo bisogno. Il tempo stringe. E c’è un diritto, uno solo che ne include tanti altri e che non voglio assolutamente perdere: il diritto ad essere, a proclamarmi, ad agire (nel mio piccolo) antifascista.

Il virus si è portato via una generazione di chi aveva guardato in faccia il fascismo e lo aveva combattuto e ne conosceva il germe e sapeva metterci in guardia. Noi tutti non ci siamo resi conto di quello che stava accadendo e non abbiamo difeso abbastanza quegli antifascisti, quei partigiani. Oggi dobbiamo pensare all’anno che viene anche e soprattutto per loro.

“L’anno ha perso la sua primavera”, disse Pericle per i giovani morti a Samo nel primo anno di guerra. Forse Tucidide lo ascoltò: ho sempre pensato che quelle parole così toccanti erano state sentite direttamente. I nostri partigiani erano anche la nostra primavera, perché essi erano giovani, ragazzi quando fecero la scelta.

Adesso tocca a noi, vecchi e giovani risparmiati, rivendicare il diritto ad essere antifascisti. E cioè a batterci per tutte quelle libertà, per quelle cose semplici e grandi che Mussolini aveva cancellato con la violenza, la tortura, le leggi fascistissime e le leggi razziali. Ma come si riconosce, oggi, un fascista? Proprio di questo tema ha scritto Madeleine Albright, segretario di Stato a Washington negli anni di Clinton (“Fascismo, un avvertimento”, editore Chiarelettere).

Come si capisce che la libertà, la democrazia sono a rischio? «Dal mio punto di vista » scrive la Albright che era nata a Praga nel ’37 «il fascista è qualcuno che si identifica fortemente con una nazione o un gruppo e pretende di farsene portavoce, si disinteressa dei diritti della gente ed è disposto ad usare ogni mezzo per raggiungere i suoi scopi». Passo dopo passo. «Dopo la conquista del potere sarà il consolidamento dell’autorità che avverrà attraverso il controllo dell’informazione».

Ecco il punto, ecco quello che ci riguarda ancora oggi, noi giornali, noi giornalisti e noi cittadini e il nostro diritto ad essere antifascisti. Il punto è il controllo dell’informazione, che può, poco alla volta, minare la democrazia. È così, è sempre stato così, dai tempi, non lo dimentichiamo, di Giovanni Amendola e del suo giornale Il Mondo. Nelle stesse ore in cui Amendola moriva a Cannes, il 6 aprile del 1926, per le ferite dei feroci picchiatori fascisti, il suo giornale a Roma era invaso e distrutto e poi soppresso.

Facile dire: oggi è diverso, quelli erano altri tempi, oggi non potrebbe accadere. Oggi non perderemo le nostre primavere… Il virus non ci ha reso tutti migliori e riflessivi: sono sempre molto rari gli atti che dimostrano amore per la giustizia, la verità e la libertà. E una straordinaria eccezione è stata la scelta di Papa Francesco di fare “beato” il giudice Rosario Livatino, ucciso «in odio alla fede».

Livatino era nato a Canicattì, indagò e processò la mafia agrigentina sulla quale stava indagando anche Paolo Borsellino nei giorni di via d’Amelio. Una mafia spietata e potentissima. Livatino fu trucidato il 21 settembre del 1990 in un agguato, sulla strada tra Canicattì e Agrigento. Il giudice viveva nello stesso condominio di Giuseppe Di Caro, il padrino locale di Cosa Nostra.

Dicevano, i mafiosi, che Livatino era ritenuto inavvicinabile e incorruttibile a causa della sua fede e della frequentazione della Chiesa. Il gesto del Papa avrà importanti conseguenze per la storia dei rapporti tra Cosa Nostra e la Chiesa siciliana. Dunque anche dei rapporti con i referenti politici. Insomma se un giorno sarà possibile esaminare con onestà tutto quel retroterra che ha permesso alla mafia di sfidare lo Stato e fare stragi non soltanto in Sicilia lo dobbiamo anche alle inchieste di Livatino. Molti hanno ricordato che quando Francesco Cossiga volle ridicolizzare il lavoro dei giudici “ragazzini”, si riferiva anche a Livatino (se non esclusivamente).

Forse oramai solo da persone del livello di Papa Francesco possiamo aspettarci “rivoluzioni” antifasciste, per la giustizia e la libertà? Contro tutti i poteri occulti che ancora infestano le istituzioni.

In un giorno di fine novembre, quando era ancora possibile sedersi per terra, ero passata dal Ponte Santa Trinità e lì c’era una classe di ragazzi con la loro insegnante che facevano lezione accucciati e serissimi, coi loro schermi, le maschere, i libri e ogni tanto alzavano lo sguardo verso l’insegna che racconta la storia del ponte, distrutto dalle mine tedesche nell’agosto del ’44.

Non ho potuto non andare con il pensiero a quella notte, a quel giorno in cui noi che eravamo bambini, rimasti insieme ai tedeschi e ai fascisti sull’altra sponda, ci affacciammo sul vuoto e l’Arno scorreva pieno di pietre, di pezzi di statue, di pezzi di ferro. Che coincidenza, il Covid, la guerra, i ragazzi, il fiume… c’era da riflettere su quanto sia complicata e imperscrutabile la storia dell’uomo.

Ho sentito spesso discutere se la pandemia sia come la guerra, meglio, peggio, e in cosa si distingua. Sono cose diverse. Ma appartengono entrambe alla grande storia. Ci costringono a vivere dando il meglio di noi, a fuggire la banalità. A pretendere, per noi e per quelli che verranno, il diritto all’antifascismo.

la Repubblica, 2 gennaio 2021

Nata a Pisa nel 1937, sposata, ha tre figlie. Si è laureata in etruscologia a Firenze e ha vissuto per molti anni a New York. Ha cominciato la sua attività professionale nel 1969 al “Mondo” con Arrigo Benedetti.

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