Bologna, il no della piazza “Costituzione, non è cosa vostra”

03 Giu 2013

Sono sbalordito che un politico accorto come Enrico Letta sostenga che non si può continuare a eleggere il presidente della Repubblica con il sistema dei grandi elettori. La verità è che questa politica debole ha scaricato sulla Costituzione le proprie incertezze». Strappa applausi in quantità Stefano Rodotà, sul palco allestito a Bologna, in una piazza Santo Stefano gremita da migliaia di persone e baciata da un sole caldissimo.

IL PERICOLO PRESIDENZIALE

Le sue parole certificano che l’ipotesi di presidenzialismo (o semi-presidenzialismo) alla quale sembra aver aperto uno spiraglio la dichiarazione del premier – subito la destra, con Alfano, ci si è infilata con entusiasmo – è primo bersaglio del centinaio di associazioni che ieri si sono ritrovate in un’iniziativa in difesa della Costituzione dal titolo eloquente: «Non è cosa vostra».

Non lo nasconde certo Sandra Bonsanti, presidente di «Libertà e Giustizia», capofila di questa rete di movimenti (sventolano bandiere arcobaleno, dei referendari pro scuola pubblica, No Tav, Anpi, del Popolo viola, tra gli altri) citando in apertura le dichiarazioni di Licio Gelli, Bettino Craxi e Walter Veltroni che, in periodi diversi negli ultimi trent’anni hanno indicato quest’ipotesi come una strada percorribile.

E sta a Gustavo Zagrebelsky, costituzionalista estensore del manifesto dell’associazione, spiegare che «il presidenzialismo porta a esiti diversi a seconda del Paese in cui viene applicato e, in particolare, a seconda del tasso di corruzione» perché l’accentramento del potere in un persona la porta «a diventare garante dello status quo». Da qui, la difesa della Carta: «Ci hanno detto che essere qui è un atto “divisivo” – tuona Zagrebelsky -, che siamo la sinistra alternativa. Ma siamo qui non per appropriarci della Costituzione, per una battaglia di parte, ma per riaffermare che quel testo è di tutti. E dunque, sono coloro che ci criticano che sono alternativi».

Un pensiero anche a Romano Prodi, «che abita qui vicino e di cui ho stima – aggiunge Zagrebelsky -. Gli chiedo di riflettere sull’apertura al presidenzialismo che ha fatto. Quando si parla di modifiche “alle forme di Stato e di governo”, significa manipolare la seconda parte della Carta, che però non è indipendente dalla prima, quella sui diritti. I diritti, infatti, si garantiscono se la macchina dello Stato funziona».

UN PEZZO DI CENTROSINISTRA
La piazza ribolle, e si spella le mani all’arrivo di Roberto Saviano, un altro dei big che hanno risposto alla chiamata di Libertà e Giustizia, che, dopo aver bocciato Gianfranco Micciché come sottosegretario alla Funzione pubblica, «ruolo a cui dovrebbero essere nominate persone inattaccabili e non ricattabili», si lamenta della scarsa attenzione del governo alla lotta alla mafia.

Le organizzazioni criminali «in questo momento di crisi, dove c’è scarsa liquidità, arrivano in soccorso dell’economia legale, e la infiltrano», denuncia. Non mancano i politici. C’è il leader di Sel, Nichi Vendola, che rinuncia a parlare dal palco, ma ai cronisti consegna una stroncatura della riforma: «Il fatto che noi parliamo di presidenzialismo o semipresidenzialismo in un paese che non è riuscito nemmeno a fare la legge sul conflitto di interessi è segno di uno sbandamento culturale.

Nei Paesi dove quel sistema funziona ci sono dei contrappesi straordinari, mentre il problema del berlusconismo avvelena l’Italia da 20 anni. E col Porcellum ha il coltello dalla parte del manico». C’è Rosi Bindi, ex presidente del Pd, c’è il deputato Pippo Civati, contrario alla nascita del governo delle larghe intese («In questa piazza il Pd non c’è, ci sono i singoli che cercano di mantenere il contatto tra il partito e la società»), ci sono i parlamentari democratici Sandra Zampa (prodiana) e Sergio Lo Giudice, Gennaro Migliore (Sel); c’è anche il deputato a Cinque Stelle Michele Dell’Orco («Perché mai dovrei aver paura di ritorsioni? Meglio festeggiare il 2 giugno qui che alla parata romana»).

E c’è anche il magistrato Antonio Ingroia. Prove tecniche di un nuovo «polo progressista costituzionale», come lo definisce l’ex pm? O di un «partito ovunque, dentro a tutti i partiti, dovunque ci sia corruzione e disonestà, con a capo Rodotà», come invece sogna Nando Dalla Chiesa? In realtà lo stesso Rodotà dice «no a un’altra formazione del 2%» e gli interpellati glissano.

A partire da Maurizio Landini, numero uno della Fiom che ha riportato al centro il lavoro, insieme alla leader Cgil Susanna Camusso. «Io faccio il sindacalista e voglio continuare a farlo – chiude il numero uno delle tute blu Cgil -, di fronte al 50% degli italiani che diserta il voto, credo però che il problema della rappresentanza e della partecipazione vada affrontato».

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