La legge elettorale è argomento di dibattito politico ormai da vent´anni. Con alterne fortune. In questo momento fa discutere in modo particolarmente acceso. Tanto che il Pd ha proposto, se non un governo istituzionale, un´alleanza parlamentare larga intorno a questo esplicito obiettivo.
Scrivere  una legge elettorale migliore del Porcellum, come la definì Giovanni  Sartori (ispirato dallo stesso autore, il ministro Calderoli).  Un´impresa semplice, nei contenuti, perché è difficile immaginare un  dispositivo altrettanto sgangherato e precario. Ma, in effetti, assai  complicata. Perché, in un sistema politico fazioso come il nostro, il  bene comune viene decisamente dopo quello del partito e degli uomini  politici. E, nonostante tutto, non sono pochi a considerare il Porcellum  vantaggioso. Non per il Paese, ma per se stessi.
Anzitutto (ma non  solo, come si dirà più avanti), nella maggioranza. Se si fa riferimento  al formato della competizione elettorale del 2008, PdL e Lega continuano  a prevalere sull´intesa Pd-IdV. Certo, il PdL appare in difficoltà,  viste le tensioni interne – e, infatti, com´era prevedibile, Berlusconi  ha congelato la scadenza elettorale. Per ora. Mentre Bersani ha aperto  al “nuovo Ulivo”, che, tradotto in termini pratici significa allargare  la coalizione oltre l´IdV, come nel 2006. Si tratta, comunque, di lavori  in corso. Per cui il PdL, ma soprattutto la Lega, non hanno alcuna  intenzione di cambiare il sistema elettorale. Se non dopo aver calcolato  bene la propria convenienza, come nell´autunno del 2005. Allora, in  vista delle elezioni dell´anno successivo, decisero di abolire la  competizione uninominale (dove si eleggevano i tre quarti dei  parlamentari), a favore di quella proporzionale (dove il centrodestra  otteneva risultati molto migliori). Con tre innovazioni, importanti e  significative. L´attribuzione di un premio di maggioranza alla  “coalizione” e non al partito vincente. L´indicazione del candidato  premier. L´introduzione delle liste bloccate e la conseguente abolizione  delle preferenze. In questo modo, il centrosinistra perdeva il suo  vantaggio. Mentre il dominus diventava il leader capace di fare  coalizione. E, soprattutto, di costringere gli alleati a rispettarla,  con le buone o le cattive (cioè: Berlusconi assai più di Prodi e dei  successori). Mentre la probabilità di venire eletti, per i candidati,  dipendeva dalla loro posizione in lista. Con l´esito di aumentare  enormemente il potere delle segreterie centrali e dei “padroni” dei  partiti, che detenevano e detengono il controllo delle candidature.
Da  ciò i diversi ostacoli – e i diversi nemici – di fronte a ogni  cambiamento di questa legge. Vi si oppongono il PdL e la Lega.  Soprattutto di fronte alla prospettiva di una legge, come l´uninominale  di collegio, che li penalizzi.
Ma è difficile immaginare una larga  convergenza, su questa prospettiva, in Parlamento, anche fra i partiti  di opposizione. L´Udc, anzitutto, che ispirò l´attuale legge. In nome  del proporzionale. Non è pensabile che accetti un´alternativa ancor più  maggioritaria.
Nel Pd si incontrano posizioni diverse e lontane. Vi  sono componenti disponibili a ipotesi proporzionali, magari di tipo  tedesco (i gruppi dirigenti maggiormente ancorati all´esperienza dei  vecchi partiti, Popolari e Ds). Mentre altre sono attaccate al principio  maggioritario e bipolare, se non più bipartitico (i veltroniani, i  prodiani “puri”, come Parisi). Morale: costruire una maggioranza  parlamentare intorno a una legge elettorale continua ad essere molto  complicato.
Tanto più perché i “riformatori” pensano a reintrodurre  il principio di responsabilità “personale”, attraverso le preferenze,  nel voto di lista, oppure attraverso l´uninominale di collegio, che  rende più stretto il rapporto fra candidati ed elettori. E sottrarrebbe,  in parte, ai gruppi dirigenti nazionali il controllo sul partito. Una  ragione sufficiente per ritenere non solo utile, ma necessaria una nuova  legge elettorale. Che restituisca maggior potere agli elettori e al  territorio.
Per questo merita attenzione il progetto di riforma, in  senso uninominale, promosso da un comitato di politici e studiosi  autorevoli. Dove, peraltro, prevalgono i politici del Pd ma, anzitutto, i  radicali. Poi, i finiani. Mentre gli esponenti del PdL sono pochi (ne  abbiamo contati 6-7 su 40, perlopiù di impronta liberale e radicale).
Ma  se i parlamentari sono tiepidi, neppure gli elettori sembrano sensibili  a questa materia. Mobilitarli è sempre più difficile, visto che, da  oltre 15 anni, i referendum elettorali non raggiungono il quorum. Da  ultimo, quello organizzato nel 2009 (mirava ad attribuire al partito il  premio di maggioranza previsto per la coalizione). Vi partecipò il 23%  degli elettori. L´affluenza più bassa della storia repubblicana.
Prova  inequivocabile che le leggi elettorali, da sole, non riescono più a  scaldare il cuore. Tuttavia, fondano la democrazia rappresentativa.  Possono valorizzare o scoraggiare la responsabilità dei leader politici  di fronte ai cittadini. Accentuare o vanificare le possibilità di  comunicazione e di controllo della società nei confronti dei leader. Se  l´attuale legge garantisce alle oligarchie di partito e ai leader  nazionali un potere senza verifica, il problema è spiegarlo ai  cittadini. Farne un obiettivo condiviso e “significativo”. Coinvolgendo  gli attori che, da tempo, conducono campagne civili, a livello nazionale  e globale. Oltre che nella società: sulla rete e attraverso i media. Il  problema è dare significato politico e sociale alla tecnicalità  istituzionale. Farla uscire dalla cerchia degli addetti ai lavori. Come  nei primi anni Novanta, quando i referendum elettorali divennero il  simbolo della lotta contro il vecchio sistema e i vecchi partiti. Oggi,  quel sistema non c´è più, neppure quei partiti. Ma le cose, nel rapporto  fra i cittadini e la politica, non sono cambiate molto. Anzi: nella  società la delusione ha preso il posto dell´indignazione. Per mobilitare  di nuovo i cittadini occorre convincerli che cambiare la legge  elettorale significa cambiare davvero.
Non sarà facile. Ma vale la pena di provarci.		
(articolo pubblicato il 30 agosto 2010)

